giovedì 9 giugno 2011

A Hemingway posso fare scuola, e non parlo di guida

Partiamo da una considerazione.
Se devo andare a cena e abito in una vallata alpina, isolato in cima a un crinale, fosse anche in un piccolo paesino, posso accettare l’idea di prendere le chiavi dell’auto, recarmi all’auto, aprire la portiera dell’auto usando le chiavi dell’auto, sedermi sul sedile del guidatore dell’auto, infilare le chiavi dell’auto nella fessura dell’avviamento dell’auto, sotto il volante dell’auto, mettere in moto l’auto, allacciare la cintura dell’auto e in un certo senso mi sarei già pentito di non aver declinato l’invito, millantando la contemporanea, inderogabile partecipazione a una battuta di caccia notturna con l’arco alla lumaca sfuggente.

 Ma se abito in una metropoli, il rimpianto di non aver disdetto l’invito a cena causa precedente adesione al contemporaneo evento di caccia in solitario con cerbottana all’iguana di fogna, mi attanaglia alla sola vista delle chiavi dell’auto in bella mostra di sé attaccate al portachiavi a muro.

Perché se abito disperso nella tundra siberiana o in un puntino piccino piccino dell’atlante stradale, allora dover usare l’auto per andare a cena è un evento inevitabile, a volte.

Ma se abito a Milano io bestemmio se devo fare decine di chilometri, sprecare tempo, inquinare l’ambiente, e vedermi sfrecciare a fianco lungo il tragitto centinaia di posti dove poter andare a cena più comodamente, intervallando il loro susseguirsi sfuggente fuori dal finestrino con una farcitura a strati di madonne e porci.

Non che non mi piaccia guidare, a militare guidavo i camion, le jeep, i furgoni; guidare di per sé mi piace proprio, ma l’auto resta per me uno strumento, e il fine deve giustificare il mezzo.
Usare un’auto per andare a cena fino a Saronno partendo da Milano centro è un fine che per me non giustifica il mezzo.

“Eh ma si fa per vedersi ogni tanto! Senno non ci vediamo mai tutti insieme.”
“Beh, se ritieni credibile mantenere in piedi un’amicizia andando a vivere fuori città, credi pure nelle favole, non sarò certo io a svegliarti, tanto meno con il rombo di un motore! Però quando ti va un trancio di pizza a Cadorna prima di prendere il treno, io ci sono sempre, tranquilla!”

Io detesto muovere l’auto per andare a cena fuori città.
I miei amici lo sanno, però le specie evolvono in natura, anche gli amici.
Lo sanno poiché mi conoscono e quando uno ti conosce, sei per metà fottuto.

Così hanno affinato la loro tecnica di caccia notturna all’ispido sbuffante.
Arma utilizzata: esaurimento da insistenza, fino a spossare la preda.
E quindi eccomi incastrato in una cena a Saronno.

Per morire con onore, mi sono anche immolato offrendomi di fare da autista a una coppia di amici, per ricambiarli delle volte che loro hanno scarrozzato me.

Mentre guido domandandomi quale cavolo di differenza ci sia in questo momento tra una contadina del Senegal che va a fare acqua al pozzo reggendo il vaso in testa, e me che devo macinare decine di chilometri gommati per andare a rimediare un pasto caldo a Saronno, mi deconcentro pure e invece di infilare per la Statale 233 finisco dritto dritto come un coglione a imboccare l’autostrada Milano Laghi.

Non è che mi manchino l’euro e cinquanta di pedaggio (tanto offrono loro che io sono davvero impossibilitato a prendere i portafogli per non mettere a repentaglio la vita di tutti togliendo le mani dal volante); è proprio che non mi va giù di pagare per una cosa che su una strada parallela posso avere gratis.

Per di più in questo modo va a puttane tutto il mio multi foglio in quattro step multi zoom di avvicinamento all'obiettivo, fatto in ufficio stampando da google maps per dimostrare al mondo che io vado anche a Pechino senza il tom tom.

Mi ritrovo nella situazione surreale di impersonare il milanese tipo fino al midollo, io che lo detesto il milanese tipo: pagamento di pedaggio per fare dieci chilometri d’autostrada con i miei due amici a incrociare le coordinate dei loro due iphone o diosacosa di cellulari guardando le mappe digitali e facendomi da navigatori (arrivano dalla Puglia ma vivere a Milano li ha già seriamente debilitati nel viaggiare basandosi soltanto sulle costellazioni e l'"abbassiamo il finestrino e chiediamo indicazioni").

Mi fermo sotto casa della invitante soltanto dopo aver ottenuto il giuramento che di quanto accaduto dentro l’abitacolo non faranno mai parola con persona alcuna.

Saliamo e come prima cosa ribadisco ai due amici che ci hanno invitati che se vogliono posssono anche scattare delle foto a moh di sbarco sulla luna, da tenere sopra il mobiletto come souvenir, perché io un’altra volta a Saronno non ci torno più, e quindi sappiano immortalare l’evento.

Messo in chiaro l'aspetto contrattuale della faccenda, passo a salutare ringraziando per il generoso quanto delizioso invito a cena.

Tengo in serbo per un successivo momento, magari tra un boccone e l'altro, l'esplicita richiesta di visionare la camera da letto e ispezionare bagno e sanitari. Devo scongiurare future esternazioni del tipo "Ma la volta scorsa non hai visto quanto è caruccio quel comodino di ginkgo biloba! Devi assolutamente tornare a trovarci!"

Per lo stesso motivo perimetro la stanza mandando a memoria tutte le foto di famiglia e parentela varia (a Napoli si usa), facendomi aiutare dall'ignaro proprietario (il cui fratello nella foto sopra la mensola vicino al maxi schermo della tv ora so che abita a Firenze, è il maggiore dei due e si sposerà questa estate), che collabora a erigere una barricata tra me e futuri inviti, spiegandomi con dovizia di particolari che il fratello in foto sta per sposarsi, abita a Firenze, è il maggiore dei due, ecc. ecc. ecc.
Thanks so much! Ora ne so abbastanza per non dover tornare!

Inizia la cena, tartine, drink, magnifico contesto a cinque con personcine squisite, quasi quanto il rollè di tacchino ripieno di prosciutto e formaggio con patate arroste: tutto cotto a puntino.

Mi sorprende positivamente che la nostra amica napoletana per questa volta non abbia deciso di nutrirci come se fossimo dei reduci della campagna di Russia.
Per questa volta voglio darle fiducia.

Così sorseggio un buon vinello, oramai satollo come un otre pieno, e penso che resta giusto lo spazio per un cannolo siciliano portato dai due x-men con navigatore incorporato che ho imbarcato a Milano e che se vogliono tornare a casa senza autostop devono continuare a ripetere che il viaggio è stato perfetto, senza intoppi, e per ora eseguono diligentemente le consegne.

Distrattamente lo sguardo finisce sulla porta del forno illuminato, e dietro il vetro c’è una teglia che gratina… e, io, candida creatura ingenua, domando alla cuoca, detta anche borghesemente "padrona di casa": “Come mai hai fatto pure il dolce? Abbiamo già i cannoli.”
“Ah, ma no!, lo so che ci sono i cannoli e ho fatto anche la macedonia d’ananas! Quella è una parmigiana al forno, così come contorno, è solo un digestivo.”

Mi piacerebbe sorridere alla battuta se non sapessi che di venatura umoristica in quelle parole non ce n’è manco un’oncia.

Se non puoi tirare spingi, se non puoi spingere, rassegnati.
La rassegnazione è indice di saggezza a volte.

Così almeno andare in auto fino a Saronno mi è servito ad ampliare la mia esigua cultura in fatto di drink.

A L’Avana fanno il mojito con fogliolina di menta, a Monte di Procida parmigiana gratinata con fogliolina di basilico.

Hemingway si è fermato alla Bodeguita, io mi sono spinto fino a Saronno.

E con la mia auto!

K.

3 commenti:

  1. ahahaha e' vero sai? sul cibo siamo assolutamente dei folli:))
    bellissima la parmigiana v/o mojito, ma era bianca? :))))

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  2. @S.: mmm...se per bianca intendi senza pomodoro, no era rossa.

    Io sono una buona forchetta, ho uno stomaco capiente ma poco elastico: quando è pieno è pieno.
    Inoltre sono da abbuffo monopiatto: dammi tre porzioni dello stesso, e il reparto "quel piatto" è a posto per i prossimi sei mesi.

    (curioso, è la prima volta che vedo vs scritto v/o, ma esiste davvero come segno?)

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  3. boh! non credo esista...sperimento :)

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